Dedicherò la prima conferenza all'opposizione leggerezza-peso, e
sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io
consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza
penso d'aver più cose da dire.
Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e
compiuto esperimenti diversi, è venuta l'ora che io cerchi una
definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia
operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho
cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti,
ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura
del racconto e al linguaggio.
In questa conferenza cercherò di spiegare - a me stesso e a voi - perché
sono stato portato a considerare la leggerezza un valore anziché un
difetto; quali sono gli esempi tra le opere del passato in cui riconosco
il mio ideale di leggerezza; conte situo questo valore nel presente e
come lo proietto nel futuro.
[...]
Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si
regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei
neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall'inizio dei
tempi...
Poi, l'informatica. E' vero che il software non potrebbe esercitare i
poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware;
ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle
macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono
in modo d'elaborare programmi sempre più complessi. La seconda
rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini
schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come i
bits d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma
d'impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma
obbediscono ai bits senza peso.
E' legittimo estrapolare dal discorso delle scienze un'immagine del
mondo che corrisponda ai miei desideri? Se l'operazione che sto tentando
mi attrae, è perché sento che essa potrebbe riannodarsi a un filo molto
antico nella storia della poesia.
Il De rerum natura di Lucrezio è la prima grande opera di poesia in cui
la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del
mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero.
Lucrezio vuole scrivere il poema della materia ma ci avverte subito che
la vera realtà di questa materia è fatta di corpuscoli invisibili. E' il
poeta della concretezza fisica, vista nella sua sostanza permanente e
immutabile, ma per prima cosa ci dice che il vuoto è altrettanto
concreto che i corpi solidi. La più grande preoccupazione di Lucrezio
sembra quella di evitare che il peso della materia ci schiacci. Al
momento di stabilire le rigorose leggi meccaniche che determinano ogni
evento, egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni
imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la libertà tanto alla
materia quanto agli esseri umani. La poesia dell'invisibile, la poesia
delle infinite potenzialità imprevedibili, cosi come la poesia del nulla
nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo.
Questa polverizzazione della realtà s'estende anche agli aspetti
visibili, ed è là che eccelle la qualità poetica di Lucrezio: i granelli
di polvere che turbinano in un raggio di sole in una stanza buia (II,
114-124); le minute conchiglie tutte simili e tutte diverse che l'onda
mollemente spinge sulla bibula barena, sulla sabbia che s'imbeve (II,
374-376); le ragnatele che ci avvolgono senza che noi ce ne accorgiamo
mentre camminiamo (III, 381-390).
[...]
La gravità senza peso di cui ho parlato a proposito di Cavalcanti
riaffiora nell'epoca di Cervantes e di Shakespeare: è quella speciale
connessione tra melanconia e umorismo, che e stata studiata in Saturn
and Melancholy da Klibansky, Panofsky, Saxl. Come la melanconia è la
tristezza diventata leggera, cosi lo humour è il comico che ha perso la
pesantezza corporea (quella dimensione della carnalità umana che pur fa
grandi Boccaccio e Rabelais) e mette in dubbio l'io e il mondo e tutta
la rete di relazioni che li costituiscono.
Melanconia e humour mescolati e inseparabili caratterizzano l'accento
del Principe di Danimarca che abbiamo imparato a riconoscere in tutti o
quasi i drammi shakespeariani sulle labbra dei tanti avatars del
personaggio Amleto. Uno di essi, Jaques in As You Like It, cosi
definisce la melanconia (atto IV, scena I):
... but it is a melancholy of my own,
compounded of many simples, extracted from
many objects, and indeed the sundry
contemplation of my travels, which, by
often rumination, wraps me in a most
humorous sadness.
... è la mia peculiare malinconia
composta da elementi diversi, quintessenza
di varie sostanze, e più precisamente di
tante differenti esperienze di viaggi
durante i quali quel perpetuo ruminare mi
ha sprofondato in una capricciosissima
tristezza.
Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle
minutissime d'umori e sensazioni, un pulviscolo d'atomi come tutto ciò
che costituisce l'ultima sostanza della molteplicità delle cose.
(Italo Calvino, Lezioni americane)