giovedì 6 dicembre 2012

Sulla leggerezza.


Dedicherò la prima conferenza all'opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d'aver più cose da dire. Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l'ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. In questa conferenza cercherò di spiegare - a me stesso e a voi - perché sono stato portato a considerare la leggerezza un valore anziché un difetto; quali sono gli esempi tra le opere del passato in cui riconosco il mio ideale di leggerezza; conte situo questo valore nel presente e come lo proietto nel futuro. [...] Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall'inizio dei tempi... Poi, l'informatica. E' vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d'elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come i bits d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma d'impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso. E' legittimo estrapolare dal discorso delle scienze un'immagine del mondo che corrisponda ai miei desideri? Se l'operazione che sto tentando mi attrae, è perché sento che essa potrebbe riannodarsi a un filo molto antico nella storia della poesia. Il De rerum natura di Lucrezio è la prima grande opera di poesia in cui la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero. Lucrezio vuole scrivere il poema della materia ma ci avverte subito che la vera realtà di questa materia è fatta di corpuscoli invisibili. E' il poeta della concretezza fisica, vista nella sua sostanza permanente e immutabile, ma per prima cosa ci dice che il vuoto è altrettanto concreto che i corpi solidi. La più grande preoccupazione di Lucrezio sembra quella di evitare che il peso della materia ci schiacci. Al momento di stabilire le rigorose leggi meccaniche che determinano ogni evento, egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la libertà tanto alla materia quanto agli esseri umani. La poesia dell'invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili, cosi come la poesia del nulla nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo. Questa polverizzazione della realtà s'estende anche agli aspetti visibili, ed è là che eccelle la qualità poetica di Lucrezio: i granelli di polvere che turbinano in un raggio di sole in una stanza buia (II, 114-124); le minute conchiglie tutte simili e tutte diverse che l'onda mollemente spinge sulla bibula barena, sulla sabbia che s'imbeve (II, 374-376); le ragnatele che ci avvolgono senza che noi ce ne accorgiamo mentre camminiamo (III, 381-390). [...] La gravità senza peso di cui ho parlato a proposito di Cavalcanti riaffiora nell'epoca di Cervantes e di Shakespeare: è quella speciale connessione tra melanconia e umorismo, che e stata studiata in Saturn and Melancholy da Klibansky, Panofsky, Saxl. Come la melanconia è la tristezza diventata leggera, cosi lo humour è il comico che ha perso la pesantezza corporea (quella dimensione della carnalità umana che pur fa grandi Boccaccio e Rabelais) e mette in dubbio l'io e il mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono. Melanconia e humour mescolati e inseparabili caratterizzano l'accento del Principe di Danimarca che abbiamo imparato a riconoscere in tutti o quasi i drammi shakespeariani sulle labbra dei tanti avatars del personaggio Amleto. Uno di essi, Jaques in As You Like It, cosi definisce la melanconia (atto IV, scena I):

... but it is a melancholy of my own,
compounded of many simples, extracted from
many objects, and indeed the sundry
contemplation of my travels, which, by
often rumination, wraps me in a most
humorous sadness.

... è la mia peculiare malinconia
composta da elementi diversi, quintessenza
di varie sostanze, e più precisamente di
tante differenti esperienze di viaggi
durante i quali quel perpetuo ruminare mi
ha sprofondato in una capricciosissima
tristezza.
Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle minutissime d'umori e sensazioni, un pulviscolo d'atomi come tutto ciò che costituisce l'ultima sostanza della molteplicità delle cose.

(Italo Calvino, Lezioni americane)

martedì 14 febbraio 2012

Alma


Io... ti amo. E me lo ripeto spesso.
E gioisco di questo. Quando esco,
quando ansioso corro al tuo viso.
E fiori di pesco,
crescono tutti intorno quando raccolgo.
Raccolgo sul dorso del dito una tua lacrima.
E' di gioia e scende a bagnare un sorriso.
E tutto il calore del mondo
mi riscalda da dentro.
E tu...
proprio tu...
diventi la mia anima.

 
 

sabato 20 novembre 2010

Asphodelus

Penetro la tua essenza

come lama calda nel burro

e percepisco

della tua anima gaudente

la sua liquidità

come la vita precaria

che cerchi di dimenticare.

Sotto i miei colpi violenti

si sgretola il tuo muro di parole

inutili contro le mie dolci invettive,

che in profondità

toccano punti nascosti

della tua intima fragilità,

facendoti piangere.

Mia Donna, creatura

alata, denomiaca e perversa,

che popoli i miei umidi sogni notturni,

reagisci ai timori quotidiani

e rinasci inarcandoti verso l'alto

come fiore di asphodelus,

che bianco svetta dalle sue spine,

protezione sicura

alla distruzione del bestiame.

Vivi ora e grida

di questa morte apparente,

che ti sto procurando,

e inerme

come pashmina cullata

sotto un caldo vento arabo

lasciati andare

a questa vacuità colma

di fantasmi lontani.

Vivi e sentiti Donna,

mentre,

come il mare ondoso

risacca calmo sul bagnasciuga,

bacio

le tue piccole labbra

stretto tra le tue coscie.

Vivi e muori,

ogni giorno...

fino all'ultimo.

venerdì 15 ottobre 2010

Rispetto assoluto

Oggi ragionavo con un mio collega sul concetto di rispetto. Si conveniva sul fatto che fosse corretto cercare di passare il concetto di rispetto sin da piccoli ai nostri figli. Sarebbe un dovere della Scuola con la 's' maiuscola quello di trasmettere il precetto morale del 'rispetto altrui'. Ragionando sulla difficoltà di capire cosa sia rispettabile e rispettoso per me e cosa per un altro individuo mi ha portato a ragionare sul concetto di "rispetto assoluto". E' possibile trovare qualcosa che sia degno di rispetto universalmente? Sicuramente l'essere umano in quanto tale deve essere oggetto di rispetto... da qui associazioni come l'Amnesty International o documenti come la Carta Internazionale dei Diritti Umani. Ma cosa dire su chi ha il compito di definire ciò che è oggetto di rispetto o no... quando ad esempio ci sono differenze di culture che entrano in gioco? Il rispetto è necessariamente legato alla cultura ed alla territorialità? E' giusto affermare che nel mio spazio se è definito il rispetto per un certo "valore", tu che vieni da un altro spazio e per diversi motivi non rispetti quello stesso valore o decidi di non entrare nel mio spazio o decidi di rispettare quel valore? In questo non c'è una fondamentale mancanza di rispetto mio nei tuoi confronti imponendoti una mia regola? E chi poi decide che io possa imporre quella regola? Non so... mi sto arrovellando inutilmente su di un ragionamento portato avanti da secoli da pensatori più degli di rispetto di me. Boh...

giovedì 14 ottobre 2010

Chi fa piano... è sano e va lontano.


Voglio fare piano Jazz. L'ho sempre desiderato. Da quando ero ragazzo. Feci tre anni di pianoforte quando avevo 13 anni. Poi ho sempre messo accordi su di una tastiera fino ai 20 anni senza andare oltre un semplice dilettantismo. 
Ma da quando ascolto Jazz il mio sogno è fare musica di quel tipo. Ora, a quasi 36 anni, sono arrivato alla conclusione o forse al principio che se si desidera qualcosa... bisogna farla... per poter vivere. Le passioni sono fondamentali, portano all'arricchimento attraverso la sofferenza. la sensazione che soggiace al sentimento passionale è il pensare di non conoscere mai abbastanza l'oggetto dei propri desideri. Io non ho mai conosciuto abbastanza il piano... tantomeno il piano Jazz. Eppur tanto l'ho amato, come si ama una vicina che ogni giorno si vede passare, con i capelli che si poggiano sul seno procace, con la camminata leggera e decisa mentre si allontana da noi, con quel sedere che sobbalza ad ogni passo. Ma non si trova mai la forza di fermarla perchè non ci si considera mai al massimo della forma e della sostanza per avere successo nell'incontro. Non si sarà mai al massimo perchè in realtà si è già al meglio ed il meglio che abbiamo e siamo va fin troppo bene. Quindi farò piano Jazz... e fermerò quella ragazza... e farò musica... la mia musica... e toccherò quel sedere... quel suo sedere. 
Perchè la passione va inseguita e nutrita... la passione è il motore del sogno e nel sogno le passioni si alimentano senza freni. Vivete di passioni.

"Esiste solo una passione, la passione per la felicità." (Denis Diderot)

Il sogno nell'arte... a Perugia!

Come molti sanno sto organizzando una tre giorni a Perugia per un evento a mio parere davvero interessante.
La 'Mostra Teatro del Sogno' .

E' una mostra incentrata sul concetto della visione onirica nel mondo dell'arte in senso lato. A partire soprattutto dai quadri degli esponenti principali del Surrealismo, Marc Chagall innanzitutto e poi Salvador Dalì, Giorgio de Chirico, Paul Delvaux, Max Ernst, Renè Magritte, André Masson, Joan Mirò, Man Ray, Alberto Savinio, Yves Tanguy, Fernando Botero, passando poi per molti artisti intaliani da inizio secolo ad oggi.
Si passa poi alla ricerca delle visualizzazione del visionario onirico nel mondo della celluloide.
Una parte fondamentale dell’esposizione sarà infatti dedicata al cinema: il surrealismo di Luis Bunuel, l’assurdo di Samuel Beckett, “Sleep “di Andy Warhol e la sua controparte odierna di Sam Taylor Wood, “Spellbound” (Io ti salverò) del 1954 di Alfred Hitchcock – la cui sequenza del sogno è stata realizzata da Salvador Dalì - con un importante omaggio a Federico Fellini, di cui, oltre ai film “I clown” e “La città delle donne”, verranno proposti manifesti e disegni originali del suo famoso “Libro dei sogni”.

Infine fotografia, musica ed eventi.

Il tutto nella cornice stupenda di Perugia... città che io adoro... vitale e sempre in movimento... per la musica (Umbria Jazz) e per la cultura (Centro unviersitario dei più attivi di Europa).

mercoledì 13 ottobre 2010


Inizia il mio sogno... la ricerca della tigre. La voglia di comunicare idee che nascono a partire dai miei viaggi tra le braccia di Morfeo e che si fondono con la mia vita da sveglio. Onde theta che divengono parole messe sul blog con lo scopo di risuonare come ruggiti lontanti spersi nella giungla della quotidianità per dire che qualcosa, che vibra e pulsa e si aggira famelica, c'è. Si può decidere di  non leggere, non dare importanza, non provare curiosità, ma l'animale erra comunque finchè non catturato. E ogni tanto non stupitevi di trovare qualche carcassa... o qualche impronta... o qualche graffio... è solo l'esuberanza felina di chi scive con passione. Spero di riuscire a dirvi qualcosa di nuovo e originale, o semplicemente incuriosirvi. Farvi sentire la tigre... e sperare che anche voi iniziate a darle la caccia.